Private Credit: cos’è, come funziona e perché sta crescendo
- Cleverfin

- 9 set
- Tempo di lettura: 17 min
Aggiornamento: 10 set
Il mondo della finanza sta vivendo l’ascesa di un nuovo protagonista: il private credit (spesso chiamato anche private debt). In questo articolo spiegheremo che cosa si intende per private credit, come funziona con esempi pratici, quali sono i principali mercati e operatori, perché è diventato un trend rilevante proprio ora e come si colloca l’Italia in questo scenario. Scopriremo inoltre quali opportunità offre questo strumento sia agli investitori retail sia ad imprenditori e PMI.

Cos’è il private credit?
Il private credit è una forma di finanziamento alternativa rispetto al credito bancario tradizionale o all’emissione di titoli sul mercato pubblico. In pratica consiste in prestiti negoziati privatamente tra un’azienda (che cerca capitali per crescere, investire o acquisire un concorrente) e investitori non bancari specializzati (fondi di private debt). Quando un’impresa ha bisogno di risorse, invece di accendere un mutuo bancario o emettere obbligazioni/azioni sul mercato, può optare per un finanziamento privato: un fondo di private credit le concede un prestito su misura, fuori dai circuiti tradizionali.
Questa modalità amplia le opzioni di finanziamento disponibili per le imprese. I fondi di private credit raccolgono capitali da investitori (come fondi pensione, assicurazioni, family office e sempre più investitori privati facoltosi) e li impiegano erogando prestiti diretti alle aziende. Il prestito è frutto di una negoziazione bilaterale riservata tra finanziatore e azienda, anziché di un’emissione pubblica sul mercato. Ciò comporta maggiore flessibilità: importo, durata, tasso e clausole contrattuali possono essere adattati alle specifiche esigenze dell’impresa. Inoltre, essendo transazioni private, si gode di una certa riservatezza, evitando la divulgazione al pubblico di informazioni sensibili dell’azienda (come invece avverrebbe, ad esempio, emettendo bond quotati).
In sintesi, il private credit è un canale alternativo di credito non bancario che offre finanziamenti su misura alle imprese. Negli ultimi anni si è affermato come parte integrante dei mercati finanziari privati, affiancando il private equity e altri strumenti di investimento alternativi.
Come funziona il private credit
Nel funzionamento pratico, un’operazione di private credit può essere descritta così: poniamo che una media impresa abbia bisogno di 20 milioni di euro per acquisire un concorrente o espandere la produzione. Se la banca esita a concedere l’intero importo (magari a causa di vincoli regolamentari o garanzie insufficienti) e l’azienda non vuole o non può emettere obbligazioni sul mercato, interviene un fondo di private credit. Il fondo valuta l’azienda, fa una due diligence finanziaria e contabile e negozia un prestito ad hoc: ad esempio 20 milioni di euro a 6 anni, ad un tasso variabile con uno spread concordato, rimborso in un’unica soluzione finale (bullet) e magari covenants più flessibili rispetto a un finanziamento bancario tradizionale. In cambio, il fondo richiede un tasso di interesse più alto per compensare il maggiore rischio e la minore liquidità. Il risultato è un finanziamento tailor-made: tempi rapidi di esecuzione, struttura del prestito adattata alle necessità operative dell’impresa e un dialogo diretto tra finanziatore e debitore.
Caratteristiche chiave di un finanziamento private credit (rispetto a un prestito bancario tradizionale) sono dunque:
Maggiore velocità e certezza nell’erogazione: i private lenders hanno processi decisionali più snelli, potendo finalizzare un deal in tempi brevi, aspetto cruciale quando l’azienda ha bisogno rapido di liquidità (es. per cogliere un’opportunità di M&A). In contesti di credito bancario più rigido, la rapidità e la sicurezza di ottenere i fondi in tempo sono un vantaggio competitivo del private credit;
Soluzioni su misura e flessibilità: a differenza di un prestito standard “one-size-fits-all”, il private credit permette di negoziare clausole e covenant personalizzati in base al profilo e alle esigenze specifiche dell’azienda. Ad esempio, si possono prevedere periodi di preammortamento più estesi, strutture di rimborso particolari, garanzie collaterali specifiche o subordinazione nel grado di rischio. Questa personalizzazione consente di finanziare anche situazioni particolari che sarebbero meno appetibili per le banche tradizionali;
Maggiore riservatezza: trattandosi di operazioni private, l’azienda non è tenuta alle ampie disclosure pubbliche richieste, ad esempio, da un’emissione obbligazionaria. Le informazioni finanziarie vengono condivise solo con il fondo in un contesto riservato, riducendo oneri amministrativi (niente reporting trimestrale a una platea di investitori pubblici) e mantenendo un controllo sulle informazioni sensibili.
Il private credit, pertanto, rappresenta una fonte di capitale aggiuntiva e complementare ai canali tradizionali, ideale per finanziare progetti di crescita, acquisizioni o ristrutturazioni del debito in modo rapido e flessibile.
Principali mercati
Il fenomeno del private credit ha una dimensione globale, ma con intensità diversa a seconda dei mercati geografici. Il mercato più maturo e ampio è senza dubbio quello statunitense: gli Stati Uniti sono l’“epicentro” del settore, ospitando la maggioranza degli operatori mondiali e la fetta più grande di capitali investiti. Basti pensare che circa 17 dei 20 maggiori gestori di fondi di private credit al mondo hanno sede negli USA. Negli Stati Uniti il private credit si è sviluppato a seguito della crisi finanziaria del 2008, quando le banche hanno ridotto il credito alle imprese medio-piccole e i fondi alternativi hanno colto l’occasione per colmare il vuoto. Oggi il mercato USA del private credit ha dimensioni enormi: all’inizio del 2024 gli asset globali dei fondi di private credit ammontavano a circa 1.5 trilioni di dollari, quasi raddoppiati rispetto ai 1.0 trilioni del 2020. Si stima che possano superare i 2.5 trilioni $ entro il 2029, segno di una crescita impressionante.
Anche l’Europa sta emergendo rapidamente come mercato di private credit, pur restando meno sviluppato rispetto agli USA. Nell’ultimo decennio, l’Europa ha registrato il tasso di crescita più rapido di private debt rispetto a qualsiasi altra area geografica. In termini di masse, si è passati da appena 93 miliardi di dollari nel 2013 a circa 505 miliardi di dollari nel 2023 in Europa – un balzo significativo, anche se il totale europeo resta circa un terzo di quello statunitense. Il mercato europeo sta dunque maturando: inizialmente concentrato su piccoli prestiti, oggi vede operazioni sempre più grandi, con quasi la metà dei prestiti privati diretti in Europa che superano i 350 milioni euro ciascuno (erano meno del 5% nel 2020). Ciò indica che anche in Europa ormai i fondi sono capaci di sostenere finanziamenti di taglia elevata, sebbene la competizione tra operatori sia ancora inferiore a quella americana. Regno Unito, Francia, Germania e paesi nordici sono i mercati europei più attivi, ma anche in Italia e Spagna il segmento è in crescita.
Al di fuori di USA ed Europa, il mercato asiatico del private credit è agli inizi ma in rapida evoluzione. Grandi asset manager globali stanno espandendo piattaforme di private debt in Asia (un esempio è la crescita di Ares SSG basata a Hong Kong, affiliata di Ares Management). Paesi come l’India e la regione del Sud-Est asiatico mostrano interesse crescente verso soluzioni di credito private per finanziare la crescita economica locale, sebbene i volumi siano ancora contenuti rispetto a Occidente. Anche il Medio Oriente ha visto nascere fondi di private credit (spinti dai fondi sovrani in cerca di rendimento). Nel complesso, comunque, Nord America ed Europa restano i mercati principali dove il private credit è più diffuso e consolidato.
Principali operatori di mercato
Il panorama dei protagonisti nel private credit è variegato, ma vede in prima linea alcuni colossi della finanza alternativa a livello globale. Molti dei principali operatori sono infatti grandi gruppi di private equity diversificati che hanno sviluppato bracci dedicati al credito. Ad esempio, Apollo Global Management è attualmente il più grande gestore di fondi di private credit al mondo, con circa 480 miliardi di dollari in gestione in questo segmento.
Tra gli altri giganti, figurano Blackstone (attraverso la divisione Blackstone Credit), KKR, The Carlyle Group e Ares Management – tutte originariamente note per il private equity ma ora ai vertici anche nel private debt. Altri nomi di spicco comprendono Oaktree Capital (specializzata in credito distressed), HPS Partners, Blue Owl Capital (noto per le BDC, Business Development Companies, veicoli quotati di private lending negli USA), Golub Capital, Sixth Street e Intermediate Capital Group (ICG) in Europa, solo per citarne alcuni. Questi operatori gestiscono fondi che raccolgono denaro da investitori istituzionali (e sempre più da investitori wealth privati) per poi finanziarlo alle imprese sotto forma di prestiti privati.
Nel mercato italiano, gli operatori attivi sono sia fondi domestici sia – in misura crescente – fondi internazionali che investono in aziende italiane. Secondo AIFI, nel 2024 risultavano 13 operatori di private debt attivi in Italia (lo stesso numero del 2023) che hanno effettuato raccolta di capitali. Tra i nomi italiani dedicati al private debt vi sono ad esempio fondi gestiti da SGR indipendenti come Anthilia Capital Partners, Muzinich (Italia), Tenax Capital, Springrowth, Riello Investimenti, nonché veicoli lanciati da grandi gruppi finanziari (es. Azimut Libera Impresa con i suoi fondi di private debt ELTIF, di cui parleremo dopo). Tuttavia, i numeri mostrano che la parte del leone la fanno i player esteri: nel 2024 l’80% circa dei capitali investiti in debito su aziende italiane proveniva da operatori internazionali, mentre gli operatori domestici hanno contato per il 60% circa del numero di operazioni (tipicamente le più piccole). In pratica, i grandi fondi globali (spesso in partnership con banche locali) intervengono nelle operazioni di taglio maggiore, mentre le SGR italiane coprono il mid-market con prestiti di importo più contenuto.
Perché è un trend rilevante oggi?
Negli ultimi anni il private credit è salito alla ribalta come uno dei segmenti più dinamici della finanza. Perché proprio ora? Ci sono diversi fattori storici e macroeconomici che hanno favorito questo trend, rendendo il private credit particolarmente rilevante nell’attuale contesto.
In primo luogo, c’è stato un cambiamento nel mercato del credito bancario. Dopo le crisi finanziarie degli ultimi 15 anni, la regolamentazione bancaria (Basilea III/IV) ha imposto requisiti di capitale più stringenti alle banche, riducendo la loro propensione a prestare alle imprese con profili di rischio elevati (tipicamente PMI o operazioni a leva). In Italia, ad esempio, le banche oggi finanziano circa il 30% in meno di operazioni ad alto leverage rispetto a dieci anni fa. Questa stretta del credito bancario si è acuita di recente: dopo la pandemia e con l’aumento rapido dei tassi dal 2022, molte imprese hanno trovato il credito bancario più costoso e meno accessibile, specialmente le PMI. Le garanzie pubbliche emergenziali (es. in Italia le garanzie statali COVID) hanno temporaneamente sostenuto i prestiti bancari, ma esauritasi quella spinta, il credit crunch bancario è tornato a farsi sentire. Tutto ciò ha spianato la strada a fonti di finanziamento alternative, tra cui il private credit, che pur non essendo l’unica opzione si sta affermando come risposta alle nuove esigenze di liquidità delle imprese.
In secondo luogo, il contesto di tassi di interesse in rialzo e alta inflazione ha paradossalmente reso più attraente il private credit rispetto ad altre asset class. Storicamente, molti investitori istituzionali cercavano rendimento nelle obbligazioni ad alto rendimento (high yield) o nei mercati emergenti. Oggi, invece, i fondi di private credit offrono rendimenti decisamente interessanti (spesso tassi superiori all’8-10%), con la maggioranza dei prestiti indicizzati a tassi variabili. Ciò significa che quando i tassi salgono, il rendimento dei prestiti privati aumenta automaticamente, proteggendo gli investitori dall’inflazione. Il differenziale di rendimento rispetto alle obbligazioni tradizionali si è ampliato: negli ultimi dieci anni i fondi di private credit hanno generato in media un 3-6% annuo in più rispetto agli indici di obbligazioni high yield quotate. Inoltre, i private lenders, potendo selezionare i prestiti uno a uno, tendono a strutturare portafogli più resilienti: le perdite per default sono risultate mediamente inferiori a quelle dei mercati obbligazionari high yield comparabili. Questa combinazione di alto rendimento e solida gestione del rischio ha attratto una crescente domanda da parte degli investitori in cerca di alternative.
Un altro motivo chiave è il track record positivo che il private credit ha dimostrato anche attraverso fasi di crisi. Durante la pandemia di Covid-19, ad esempio, molte imprese finanziate dai fondi private hanno ottenuto flessibilità (rinegoziazioni) e supporto, evitando default in massa. I risultati storici mostrano una notevole tenuta dell’asset class: alcuni studi evidenziano che il fondo di private credit “medio” non ha registrato un solo anno di rendimento negativo negli ultimi 30 anni. Questa resilienza – dovuta ai flussi cedolari costanti e a portafogli ben diversificati – ha aumentato la fiducia degli investitori istituzionali. Non a caso, in un recente sondaggio oltre la metà dei fondi pensione globali ha dichiarato di voler incrementare l’allocazione al private credit nei prossimi anni. In Europa, molti investitori considerano il private credit persino più interessante del private equity in questa fase, proprio per la sua capacità di attraversare con successo periodi turbolenti (come l’era pandemica).
Infine, il ruolo dei grandi operatori finanziari ha dato legittimità e spinta al trend. Colossi come Apollo, Blackstone, KKR hanno fatto importanti raccolte di capitali dedicati al private credit, segnalando al mercato che questa è una frontiera prioritaria. Apollo, come accennato, la definisce “il futuro dell’asset management”; Blackstone in una sua analisi sottolinea che l’attuale scenario macroeconomico (tassi alti, azioni/obbligazioni correlate) crea un contesto favorevole al private credit come diversificatore di portafoglio. In parallelo, le autorità stanno iniziando a monitorare più da vicino questo comparto (dato che è ormai da 2 trilioni di dollari a livello globale), consapevoli del suo ruolo sistemico crescente.
Il mercato del private credit in Italia
Passando all’Italia, è lecito chiedersi: esiste un mercato del private credit anche da noi? La risposta è sì, ed è un mercato in rapida crescita, sebbene ancora più piccolo rispetto a quello di altri Paesi occidentali. L’Italia è storicamente un Paese bancocentrico, dove le imprese hanno sempre fatto affidamento quasi esclusivo sul credito bancario locale o, in alternativa, sui propri soci (capitale di rischio). Tuttavia, negli ultimi dieci anni circa, anche nel nostro Paese si è aperto lo spazio per operatori di debito privato. Una spinta decisiva è arrivata nel 2012-2013 con l’introduzione dei minibond (obbligazioni delle PMI) e con riforme normative che hanno permesso ai fondi di credito di operare direttamente (rimuovendo vincoli che prima riservavano l’attività di erogazione alle sole banche). Da allora, il segmento del private debt italiano ha mosso i primi passi, sostenuto anche da investitori istituzionali domestici (Cassa Depositi e Prestiti, fondazioni, casse previdenziali) desiderosi di canalizzare risorse verso l’economia reale.
I dati più recenti confermano un mercato italiano in pieno sviluppo. Nel 2024 si è toccato un record storico: sono stati investiti quasi 5 miliardi di euro in operazioni di private debt su aziende italiane, con un balzo del +53% rispetto ai ~3,25 miliardi dell’anno precedente. Anche la raccolta di nuovi capitali da parte dei fondi è aumentata (+13% anno su anno, a circa 1,36 miliardi di euro) segno che c’è appetito sia dal lato investitori sia dal lato imprese. Complessivamente, 168 imprese italiane hanno ottenuto un finanziamento private nel 2024 (erano 147 nel 2023). Numeri modesti in valore assoluto, ma in forte crescita: appena quattro anni prima (2020) gli investimenti annui erano attorno a 1,3 miliardi di euro, quindi il volume è quasi quadruplicato in pochi anni. Emblematico è il fatto che una quota maggioritaria delle aziende finanziate sono PMI: circa il 58% delle imprese target ha meno di 250 dipendenti, a riprova che il private credit sta raggiungendo proprio quel mid-market che spesso fatica ad accedere al capitale.
Interessante anche la ripartizione geografica e settoriale: la Lombardia guida in Italia con il 34% delle aziende finanziate nel 2024, seguita da Emilia-Romagna (12%), Lazio e Veneto (11% ciascuna) – segnale che il baricentro è nelle regioni economicamente più dinamiche. I settori più finanziati sono stati beni/servizi industriali (20% delle imprese) ed energia-ambiente (19%), ma vi sono operazioni in quasi tutti gli ambiti (anche tecnologia, food, moda, ecc.). Tipicamente, i fondi di private debt sostengono progetti di crescita interna, acquisizioni o operazioni di buyout: nel 2024 circa un terzo del numero di deal ha riguardato finanziamenti per operazioni di LBO (leveraged buyout) e un altro terzo per finanziare la crescita organica delle aziende. Ciò significa che spesso i fondi intervengono quando c’è un cambio di proprietà (acquisizione da parte di un fondo di PE, ad esempio) oppure per dare liquidità a piani di espansione (capex, internazionalizzazione) delle imprese.
Un dato che spicca è la dimensione in aumento delle operazioni: nel 2024 ben 11 aziende hanno ricevuto prestiti individuali di almeno 100 milioni € (per complessivi €2,7 miliardi), mentre l’anno prima solo 4 aziende avevano ricevuto importi così grandi. Ciò è stato possibile grazie all’ingresso più marcato di fondi internazionali nel mercato italiano: infatti, pur numericamente meno presenti, gli operatori esteri hanno investito circa l’80% del totale capitale erogato nel 2024. In pratica, i grandi fondi globali (spesso con team a Londra o nel nord Europa) guidano i deal maggiori, mentre i fondi italiani mediano operazioni più piccole e locali. Questa convivenza sta comunque ampliando l’accesso al credito per molte aziende: le imprese italiane iniziano a vedere nel private credit un’alternativa concreta, soprattutto per esigenze che le banche oggi coprono parzialmente.
Va sottolineato che le banche italiane e i fondi di private debt spesso collaborano anziché farsi concorrenza diretta. Nelle operazioni di acquisizione ad esempio, è sempre più frequente una struttura mista: la banca fornisce la parte senior del finanziamento (più garantita e ammortizzata), mentre il fondo private credit fornisce la tranche più subordinata o bullet (con maggiore flessibilità e rendimento). In questo modo l’azienda ottiene un pacchetto completo di finanziamento. Questa complementarità ha permesso di chiudere operazioni di M&A importanti in Italia nonostante la ritrosia del sistema bancario a esporsi integralmente. Da un punto di vista normativo, inoltre, l’Italia ha creato veicoli ad hoc per favorire il private debt: ad esempio i Fondi di Direct Lending (EuVECA) e soprattutto gli ELTIF (European Long-Term Investment Fund), fondi chiusi che possono investire in crediti privati e – novità cruciale – possono essere collocati anche a investitori retail qualificati. Proprio le opportunità per retail, imprenditori e PMI sono l’ultimo aspetto che approfondiremo qui di seguito.
Opportunità per investitori retail
Tradizionalmente, l’investimento in fondi di private credit è stato riservato a investitori istituzionali (fondi pensione, assicurazioni, fondi di fondi) o comunque ad investitori professionali data la natura illiquida e sofisticata del prodotto. Tuttavia, di recente si osserva un’apertura verso il pubblico wealth e retail qualificato: la base di investitori si sta ampliando man mano che i gestori di fondi innovano la loro offerta per includere anche clientela private. In Europa questo trend è favorito dall’introduzione degli ELTIF, fondi a lungo termine regolamentati che possono essere distribuiti anche a investitori individuali (con determinate tutele e orizzonte minimo).
Per gli investitori retail qualificati (ad esempio clienti private banking), le opportunità offerte dal private credit includono:
Rendimenti potenzialmente superiori rispetto alle obbligazioni tradizionali: questa asset class negli ultimi anni ha prodotto extra-rendimento (+3-6% annuo) rispetto a strumenti obbligazionari high yield di pari rischio. Tassi d’interesse dell’8-10% non sono inusuali nei fondi di direct lending odierni, il che può aiutare a incrementare il rendimento atteso di portafoglio;
Protezione dall’inflazione e dai rialzi dei tassi: la gran parte dei prestiti privati ha tassi variabili legati a indici come Euribor/Libor più spread. Ciò significa che, in uno scenario di tassi in aumento, i flussi cedolari incassati dall’investitore aumentano proporzionalmente, fornendo una copertura naturale contro l’aumento del costo del denaro. In periodi di inflazione elevata, questa caratteristica è preziosa rispetto a obbligazioni a tasso fisso che invece perdono valore;
Diversificazione del portafoglio: il private credit rappresenta un’asset class alternativa con bassa correlazione rispetto ai mercati azionari e obbligazionari tradizionali. Inserirne una quota in portafoglio può migliorare il profilo rischio-rendimento complessivo e ridurre la volatilità;
Minor volatilità e flussi stabili: i fondi di private credit puntano a distribuire regolarmente cedole e tendono ad avere minori oscillazioni di valore rispetto ai mercati azionari, dato che i prestiti a bilancio sono valutati al costo ammortizzato (salvo default). Questo può dare una stabilità apprezzabile al portafoglio, pur con il trade-off della minore liquidità;
Accesso ad economie reali e PMI: investire in private debt significa spesso finanziare direttamente progetti di crescita di imprese reali, incluse PMI innovative. Alcuni investitori retail vedono di buon occhio anche l’impatto sull’economia reale dei propri investimenti, oltre al ritorno finanziario.
Di contro, vanno evidenziati i limiti/considerazioni per un investitore non istituzionale: la liquidità è quasi assente (i fondi di private credit sono chiusi, con durata tipica 5-7 anni in cui il capitale non è riscattabile prima della scadenza), e il ticket minimo d’ingresso può essere elevato (anche se gli ELTIF in Italia hanno abbassato l’entry ticket, restano comunque prodotti consigliati a chi dispone di patrimoni significativi da immobilizzare). Inoltre, serve accettare un certo livello di rischio: pur avendo storicamente tassi di default bassi, si tratta comunque di prestiti a imprese spesso non investment grade, quindi non c’è garanzia di capitale. In sintesi, l’opportunità per gli investitori retail esiste ed è quella di diversificare e incrementare i rendimenti entrando, tramite veicoli dedicati, in un settore prima riservato ai grandi player. Bisogna farlo però con consapevolezza, orizzonte di lungo termine e affidandosi a gestori professionali di comprovata esperienza.
Opportunità per imprenditori e PMI
Dal lato delle imprese (PMI) e dei loro imprenditori, il private credit rappresenta una fonte aggiuntiva di capitali con caratteristiche uniche. Le PMI italiane, che spesso hanno struttura patrimoniale familiare e forte legame col territorio, sono abituate al rapporto di fiducia con la banca locale; tuttavia, molte di esse si trovano oggi in situazioni in cui le banche non riescono a soddisfare appieno il loro fabbisogno finanziario (soprattutto se si tratta di operazioni straordinarie, come acquisizioni, passaggi generazionali o espansioni internazionali). Ecco quindi che si aprono opportunità importanti:
Accesso a capitali per la crescita e le acquisizioni: I fondi di private credit forniscono prevalentemente finanziamenti di medio termine (5-7 anni) di tipo senior o subordinato per sostenere piani di espansione, investimenti produttivi o operazioni di M&A delle imprese;
Soluzioni flessibili e su misura che si adattano alle esigenze dell’impresa: I fondi possono strutturare il prestito sulle necessità dell’azienda: ad esempio possono offrire periodi di pre-ammortamento (nessun rimborso del capitale per i primi anni, lasciando respiro all’azienda di crescere), covenants finanziari negoziati ad hoc e non standard, oppure forme di bullet che alleggeriscono i flussi di cassa nell’immediato. Questa flessibilità significa che un’impresa può ottenere finanziamenti anche in situazioni “non bancabili”, ad esempio se ha un leverage temporaneamente alto o flussi di cassa volatili – condizioni dove una banca direbbe di no, un fondo private invece valuta il business plan e prezza il rischio di conseguenza;
Rapidità e certezza nell’esecuzione: Un private lender serio, dopo la due diligence, è in grado di deliberare ed erogare i fondi in tempi rapidi (talora in 6-8 settimane), più velocemente di quanto farebbe un pool bancario vincolato da procedure creditizie lunghe. Per un imprenditore questo può fare la differenza nel cogliere un’opportunità di mercato. Inoltre, il fondo generalmente offre maggiore certezza di portare a termine l’operazione, mentre accade che le banche talora riducano gli importi last-minute o si tirino indietro in presenza di turbolenze di mercato. La “certezza e velocità” sono un valore aggiunto molto apprezzato dagli imprenditori;
Mantenimento di riservatezza e controllo: Per alcune aziende familiari, emettere un bond pubblico significherebbe aprire i propri conti a investitori diffusi e analisti; con un finanziamento privato invece il dialogo resta confidenziale con un singolo partner finanziario, mantenendo privacy su dati strategici e evitando impatti su valutazioni di mercato (utile quando non si vuole rendere pubblica un’operazione fino a conclusione). Inoltre, contrarre debito (anziché aumentare capitale sociale) permette all’imprenditore di non diluire la propria quota di controllo nell’azienda. Il private credit quindi offre un’alternativa interessante per chi vuole crescere senza aprire il capitale a nuovi soci;
Complementarità con il credito bancario: Come accennato, spesso l’arrivo di un fondo di private debt non esclude la banca, ma la integra. Le PMI di qualità possono mettere in piedi club deal finanziari in cui una parte del prestito la dà la banca (magari garantito o con condizioni senior) e un’altra parte la dà il fondo (come tranche junior più rischiosa). Questo modello ibrido consente all’impresa di ottenere più fondi complessivi di quanti gliene avrebbe dati la sola banca, ottimizzando la struttura finanziaria. Le banche stesse vedono di buon occhio tali collaborazioni perché condividono il rischio con investitori specializzati e riescono a soddisfare meglio i clienti corporate in operazioni importanti.
Certo, il costo del capitale è più alto: i tassi pagati ai fondi sono superiori a quelli tipici bancari, riflettendo il maggiore rischio e la minore liquidità per il finanziatore, e ci possono essere commissioni iniziali significative. Il private credit non è una panacea e la sua convenienza va valutata caso per caso, in base al ritorno sull’investimento che l’azienda prevede di ottenere grazie a quel capitale preso in prestito. Tuttavia, in molti casi le imprese sono disposte a pagare qualcosa in più pur di ottenere capitale in tempi rapidi e alle condizioni giuste per crescere. Per un sistema produttivo come il nostro, ricco di medie aziende spesso sottocapitalizzate, il ricorso al private credit può significare più investimenti, maggiore competitività e crescita, se utilizzato in modo oculato.
Conclusioni
In un’epoca di cambiamenti economici, il private credit si candida a rimanere un trend rilevante anche negli anni a venire, fungendo da ponte tra i capitali privati globali e le esigenze finanziarie delle aziende. L’Italia sta cavalcando questa tendenza: seppur con ritardo, sta sviluppando competenze, operatori e veicoli normativi adeguati per sfruttare al meglio il contributo positivo che il private credit può dare al nostro tessuto imprenditoriale. Con equilibrio e trasparenza, questo “credito alternativo” potrà consolidarsi come parte integrante dell’ecosistema finanziario, affiancando banche e mercati dei capitali nel sostenere lo sviluppo economico. In un certo senso, il private credit rappresenta un ritorno al passato (il prestito su misura tra investitore e imprenditore) ma con dimensioni globali e professionalità moderne – un connubio che continuerà a far parlare di sé nel panorama finanziario.
Fonti:
We Wealth – “Private credit: cos’è e perché è interessante per gli investitori”
Morgan Stanley Investment Management – “Investing in European Private Credit” (2025)
Morgan Stanley – “2025 Private Credit Outlook”
S&P Global Market Intelligence – “Top 20 private credit managers hold more than one-third of dry powder”
Teleborsa/Rep. – “Private debt, nel 2024 in Italia investimenti record per 5 miliardi di euro”
Econopoly – Il Sole 24 Ore – “Private credit: pro e contro per le PMI in Italia”
Financecommunity.it – “L’ascesa del private debt in Italia”
Heron Finance – “Private Credit in 10 Charts” (dati Preqin/Blackstone)
AIFI – “Private Debt: Dati 2024”



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